Bentornati a tutti miei carissimi amici de Gli Spaccia Lezioni, è un piacere come sempre tornare a parlare con voi. Questa volta, vi racconterò delle vere origini del popolo giapponese, non attraverso la storia dei loro miti, bensì attraverso fatti storici accaduti veramente, e sarà un onore condividere questa passione con voi. Come la scorsa volta, una volta finito questo racconto, vi parlerò ancora una volta del progetto #ioparlo #vogliounfuturo, narrandovi della bellissima storia di Benkei, il superbo monaco guerriero. Ma bando alle chiacchere, cominciamo.
A differenza di molti altri popoli, non vi è una vera e propria “unica verità” storica che dica con precisione come sia nato il popolo nipponico e, a dirla tutta, quest’aura di mistero sulla loro nascita , spesso è motivo di orgoglio per gli abitanti dell’impero del Sol Levante. Secondo Johann Nawrocki, specialista di storia del pensiero dell’istituto germanico di studi giapponesi di Tokyo I giapponesi mai e poi mai diranno che, molto probabilmentem, i loro antenati sono coreani. Il Giappone ha colonizzato la Corea dal 1910 al 1945, giustificando il suo dominio con l’idea che i coreani fossero esseri inferiori bisognosi di una forza civilizzatrice. Ancora oggi, in Giappone, la discriminazione nei riguardi dei coreani resta forte. (Basta anche ricordarsi il terribile episodio commesso dal noto condottiero giapponese Hideyoshi Toyotomi che, nel 1593, incendiò Seoul per poi ordinare alle sue truppe di tagliare i nasi a chiunque gli opponesse resistenza e di porli in un lugubre posto chiamato, per qualche strano motivo, “il tumulo delle orecchie”) Secondo altri studiosi (specialmente asiatici), il popolo giapponese nacque nel Paleolitico, dall’ unione del popolo cinese ( uno dei più antichi al mondo il quale, proprio in quel periodo, aveva deciso di espandersi e di trovare nuove terre da colonizzare) e di quello Ainu. Gli Ainu, ma chi era questo popolo? Vi ricordate degli Oni, i giganteschi mostri simili ad Ogre di cui avevamo parlato nel nostro primo racconto? Sì? Perché vi parlo di loro, ora ci arriviamo, prima parliamo di questo affascinantissimo popolo, i quali (a mio parere) sono davvero gli antenati del popolo nipponico.
Gli Ainu (アイヌ) sono un gruppo etnico isolato che abita nel nord dell’isola di Hokkaidō e, in parte, sull’isola di Sakhalin, situata nella parte più ad est della Russia. Possono essere considerati a tutti gli effetti una popolazione differente sia rispetto ai giapponesi, che ai vicini Russi. Questo non solo dal punto di vista delle origini, ma anche della fisionomia: rispetto allo “standard” nipponico essi sono mediamente più bassi, con arti più corti, di costituzione più robusta e con pelle più chiara.
Un altro punto che li distingue è quello linguistico, in quanto, sempre in minoranza, non esiste una lingua ufficiale Ainu, ma una serie di dialetti incrociati ora con le parlate regionali giapponesi, ora con quelle proprie dell’estremo oriente della Russia continentale, tutti quanti con una radice comune della quale si ignora l’origine, tanto che la “lingua Ainu” (termine con cui si identifica, appunto, questa radice) viene dai più considerata una lingua isolata. Gli Ainu sono sostanzialmente un popolo di pescatori e cacciatori, con una particolare propensione alla caccia all’orso, considerata un vera e propria forma di sport, con tanto di cani addestrati a stanare il povero animale in letargo. Vivono in case dal grosso tetto in paglia in una società a struttura tipica delle tribù, seguendo una religione di tipo animista, che vede in tutto la presenza di un kamuy (spirito). In una struttura di questo tipo la personalità più importante del villaggio è ovviamente lo sciamano, guida della comunità e unico autorizzato a comunicare con gli spiriti, interpretandone i messaggi.
Vi sarete fatti un’ idea di questo popolo, e avrete sicuramente notato che ha dell’occidentale più di qualsiasi etnia abbiamo incontrato prima. Ed è anche per questo che durante il dominio del sovra citato Hideyoshi Toyotomi (non pensiate che questo piccolo grande uomo fosse solamente un assassino, fu un grande innovatore e uomo dall’ intelletto brillante, ma doveva mantenere la fiducia dei clan che aveva sotto il suo controllo. Conosceva solo un modo per fare tale cosa, ovvero quella che gli aveva insegnato il suo maestro, spargere più sangue possibile), gli Ainu vennero considerati “esseri inferiori”, considerati come mostri usciti dal regno dei morti. Per questo motivo, secondo molti storici, il termine Oni deriva proprio dal popolo Ainu, benché la loro fisionomia e il loro carattere sia stato del tutto stravolto. Queste poche righe, raccontano uno dei peggiori orrori del popolo giapponese, forse secondo solo all’Unità 731 ( di questo incubo ad occhi aperti ne parlerò ben più avanti nell’ articolo che intitolerò “La spelonca di Orochi”, dove vi saranno tutte le pagine più nere della storia del Giappone, la quale sarà contrapposta a “La Spada di Susanno’o” ) . Sta di fatto che le origini dei nipponici ancora adesso sono materiale di interesse e di discussione tra gli storici. Solo una cosa è certa, come molti altri popoli extra-asiatici, l’insediamento dell’ essere umano nel Giappone è stato realizzato grazie ad una meravigliosa sinergia tra: Coraggio, incoscienza, curiosità e voglia di avere un futuro. E con quest’ultima parola, che con orgoglio vi introdurrò alla bellissima storia di Benkei
Saitō Musashibō Benkei (西塔武蔵坊弁慶), meglio conosciuto con il solo nome di Benkei (弁慶) , rappresenta una delle figure più amate e commoventi di tutto il Giappone, e la sua storia è particolarmente amata nel teatro Kabuki (teatro nato per volontà del “ demoniaco” predecessore di Hideyoshi, tutto si ricollega … ne riparleremo presto di questa figura assolutamente meravigliosa ed affascinante, di cui sono innamorato da anni) .
Come si sarà ormai ben capito, la storia e il mito in Giappone sono un’unica cosa, spesso per noi storici è incomprensibile discernere una dall’altro.
Una sola cosa è certa, è nato nel 1155 in un tempio buddista vicino a Kyoto, e suo padre era un monaco, la madre è ignota. Qui finisce la storia certa. Si dice che avesse la forza di cento uomini, che fosse alto oltre i due metri e che avesse tratti demoniaci (più da Oni che da Yokai a dire il vero). Uomo di grande cultura (in fondo come nel nostro medioevo, i centri religiosi erano anche i centri di cultura), all’ età di diciassette anni, Benkei decise di prendere una strada diversa dal padre ( molto probabilmente una figura eminente di quel tempio) e divenne un Sohei, ovvero un monaco non solo esperto nelle parole e nella retorica, ma anche estremamente abile nell’uso delle armi. Sembra che avesse una passione per le Naginata (una lunga lancia che terminava con una lama curva, molto simile alle nostre alabarde, anche se potremmo più considerarla “una spada con un manico molto lungo”) e si unì ad un ordine di monaci itineranti.
Essendo estremamente orgoglioso e conscio di avere in se la forza di un mostro, il nostro caro monaco guerriero decise di farsi forgiare una splendida armatura dal celebre ed eccentrico fabbro Kokaji Munenabu, il quale, gli disse che l’avrebbe costruita, solo se gli avesse portato mille armi, e ognuna di queste doveva essere sottratta ad un valoroso guerriero.
Benkei, sicuro di potercela fare con facilità, andò a presidiare il ponte di Gojo, a Kyoto, e cominciò a sfidare chiunque fosse così valente da accettare la sua sfida . Benkei, era un uomo di parola, chiunque non avesse voluto sfidarlo sarebbe potuto passare, ma chi avesse accettato la sua sfida avrebbe dovuto mettere in palio la sua arma, non la vita, come spesso succedeva in questi scontri . Il Sohei in poco tempo raccolse novecentonovantanove armi, senza essere mai battuto, e rispettando ed onorando ogni singolo nemico che aveva sconfitto. Ormai era alla soglia della vittoria, quando sul ponte di Gojo si presentò un guerriero minuto, ma con l’ardore di chi può scrivere il proprio destino con le sue mani. Benkei non resistette, lo sfidò apertamente, non avrebbe accettato un diniego da parte dello straniero, il quale non si tirò indietro. Il nuovo giunto gli disse che avrebbe messo in palio sia la sua meravigliosa spada che la propria vita in caso di sconfitta…. Nel caso in cui fosse stato il vincitore, il monaco avrebbe dovuto diventare il suo apprendista. Benkei, in un eccesso di zelo e di fiducia in sé, accettò, sicuro di poter vincere. Ciò che successe , lo potete immaginare pure voi. Il misterioso guerriero , dopo un epico scontro, sconfisse il nostro monaco. Benkei, ovviamente rispettò il patto, ma non lo fece con rammarico. Quel guerriero, il cui nome era Yoshitsune Minamoto, era il guerriero più incredibile che il monaco avesse mai affrontato. Ben più giovane e piccolo fisicamente di lui. Yoshitsune era un uomo estremamente carismatico e ambizioso e con un grande sogno, unire il Giappone e renderlo libero dalla crudele tirannia del clan Taira ( sulla malvagità del Clan Taira e del loro Capo, Kiyomori, non vi è ALCUNA prova storica, ma si sa, la storia la scrivono i vincitori, non i vinti, e il periodo Heian vide vincitore il Clan Minamoto). Benkei ben presto divenne il suo più caro amico, un fratello nella causa. Grazie a lui, il Clan Minamoto, vinse la grande guerra Genpei. Ma come molte leggende giapponesi, il lieto fine non è mai davvero lieto.
Yoritomo Minamoto, il fratello maggiore di Yoshitsune, pavido, ricco e nullafacente, divenne invidioso della gloria del fratellino e del suo amico, ed ordinò la loro morte. Le truppe di Yoritomo assediarono il castello di Yoshitsune, lo volevano catturare per metterlo in ridicolo, ma non avevano fatto i conti con il valoroso Benkei. Per arrivare al castello dell’ eroe, i soldati del traditore dovevano attraversare un ponte, ponte che, indovinate, venne presieduto dal monaco. Il Sohei era da solo, contro oltre mille soldati, ma non arretrò di un passo, anzi urlò e sfidò i nemici, i quali lo assalirono insieme, più e più volte, ma Benkei li falciava come grano maturo. Passò il tempo, e il nobile guerriero era sempre più stanco, sempre più debole per le ferite, ma nessun soldato di Yoritomo aveva più il coraggio di avvicinarsi, visto che da solo li aveva decimati. Benkei stava fermo, immobile, fiero e rimase così per giorni. Fu solo dopo un po’ che un soldato si avvicinò a lui e capì che era morto, morto dissanguato dalle miriadi di ferite che gli erano state inferte, anche da morto, Benkei aveva mantenuto il suo onore, il suo essere guerriero, il suo essere uomo. Yoshitsune riuscì a compiere il Seppuku, il suicidio rituale, e Yoritomo venne assassinato per il suo orrido crimine. Ancora oggi, la statua di Benkei, morto in piedi è un simbolo del coraggio e della voglia di non arrendersi per tutti i giapponesi.
Noi non siamo giapponesi, ma siamo tutti uomini, e ognuno di noi può essere il proprio Benkei. Ecco, io vedo in questa storia, tanto di quello che i giovani stanno patendo ora, dobbiamo proteggere il castello del nostro futuro da migliaia di pericoli; di salute, economici, di persone invidiose, di cattiverie. Ma nulla, nulla ci dovrebbe far paura, vogliono affondarci? Che ci provino, non andremmo giù così facilmente, li spazzeremo via, e se “moriremo” nell’ impresa di farlo… beh… neanche loro avranno più la forza di andare avanti.
By Lorenzo Carbone
le cose buone che mi capitano
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Om och av författaren Håkan Östlundh
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